Il desiderio di poter entrare in seminario e vestire l’abito talare potè realizzarsi l’anno successivo, nel 1838. La famiglia si era trasferita ad Agrigento a causa di una malattia della madre e Giuseppe ottenne il consenso tanto desiderato di vestire l’abito clericale dopo tante insistenze. Non ancora soddisfatto, chiese di ottenere anche la tonsura e di essere ammesso al primo Ordine minore, quello dell’Ostiariato. Una graziosa testimonianza contenuta in un numero unico commemorativo, apparso dopo la sua morte, riporta il racconto di un dialogo fra Giuseppe ed un sacerdote incaricato di esaminarlo e di metterne alla prova l’idoneità vocazionale. L’esaminatore fingeva di temere l’ingresso di Giuseppe in seminario, per paura che potesse litigare con i compagni; Giuseppe rispondeva in modo svelto e pronto per cercare di convincere il sacerdote del contrario.
Il 21 dicembre 1838 Giuseppe ricevette la tonsura e l’ostiariato dalle mani del vescovo di Agrigento mons. Ignazio Montemagno, ma non potè ancora entrare in seminario: il padre pensò di tenerlo in casa, affidandolo ad un sacerdote come precettore. Fu solo nell’ottobre dell’anno seguente che Giuseppe, dopo aver tanto pianto e supplicato, potè entrare in seminario ad Agrigento.
Il seminario era allora un autentico centro di cultura e di spiritualità, animato da diversi sacerdoti colti e pii. Giuseppe vi resterà per ben 10 anni e lascia nei suoi ricordi questa testimonianza del clima che vi regnava: “Studiai veramente e per misericordia di Dio e meglio, perché con l’esteriore portamento illudeva tutti, fui amato dai miei superiori e non ebbi mai in dieci anni di quella dimora la menoma correzione; sebbene molto severa fosse la disciplina dei seminaristi e la vita più austera che non si faccia negli ordini religiosi. L’anno appresso mi diedero l’incarico di viceprefetto della camerata dei piccoli. Io me ne gravava, non in principio perché fui lieto della distinzione, ma in progresso, quando ne avvertii il peso; molto più poi negli anni di seguito perché io studiava rettorica e belle lettere e frattanto facea da prefetto a giovani barbuti che studiavano teologia e molto più mi pesava dover dare relazioni della vocazione di coloro che dovevano essere ammessi al suddiaconato. Va a trovare quanti errori commisi tuttoché avessi fatto ogni attenzione a tal segno che mi dicea scrupoloso; non però i superiori. Nelle scuole Iddio mi dava la grazia profittare e i miei parenti ne eran contenti. I professori mi amarono sempre e il prefetto degli studi con gli esaminatori vollero darmi nelle scienze filosofiche naturali e sacre il primo posto accademico. Il seminario era abbondantissimo di studenti e nella sola mia classe (cioè ‘intero corso) eravamo 103 scolari in filosofia e 82 in teologia”.