Tante persone accorrono al luogo della tragedia, Nino viene caricato in macchina e portato all’ospedale che, allora, era a Modica Alta.
Nino avrà modo di raccontare i momenti che seguirono: “ Appena apro gli occhi, vedo la mamma accanto a me e tanta gente. Mamma, sono fermo, non posso muovermi, sono tutto paralizzato. I medici, rendendosi conto della gravità della situazione decisero di mandarmi all’ospedale di Siracusa la stessa sera. Mi lasciarono sopra una barella nel corridoio, in attesa dell’autoambulanza, che ritardò e venne la sera verso le 22; così lasciai il mio paese, la mia famiglia, la mia casa. Arrivato a Siracusa, all’ospedale civile, mi portarono in sala operatoria, accertarono la frattura della 5°-6°-7° cervicale e la frattura del femore destro. Mi misero un ferro nel femore e poi mi portarono nel reparto; con me c’era papà”.
Furono giorni di terribili sofferenze, trazione nella gamba e nella testa, esami vari.
Tanti pensieri riempiono la mente, Nino si chiede se tornerà a rialzarsi, a camminare, a riprendere la sua vita di prima, coltiva la speranza che quella situazione sia temporanea, passeggera.
Ma, purtroppo, lo sguardo dei medici fa trasparire la gravità del caso, si prospetta un esito infausto, qualcuno dei sanitari arriva a proporre alla signora Baglieri una soluzione che metta fine alle sofferenze di quel suo sventurato figlio. Peppina è una donna di fede: ” Se il Signore lo vuole lo prende, ma se me lo lascia così, sono contenta di accudirlo per tutta la vita”.
Quanta sofferenza per tutta la famiglia, vedere quel figlio, quel fratello, quello che fino a qualche giorno prima era un giovane forte e vigoroso, ridotto alla totale immobilità, era motivo d’immenso dolore. L’immobilità aveva causato anche la formazione di una grossa piaga da decubito all’altezza dell’osso sacro, profonda, larga, prima di una serie di altre piaghe che si sarebbero formate nei talloni, nei gomiti, nelle scapole.
Nessun miglioramento, arriva così la decisione di trasferire Nino al Centro Paraplegici di Ostia, in provincia di Roma.
Il 20 Giugno del 1968 Nino lascia l’ospedale di Siracusa, le parole del medico rivolte alla madre non lasciano ben sperare, “signora, suo figlio non ce la farà, morirà per strada”, un altro pugnale nel cuore di quella povera donna.
Inizia un faticoso viaggio in treno verso Roma, alla stazione amici e parenti a salutare Nino che si trova ad affrontare il suo primo viaggio in treno che lo avrebbe portato fuori dalla Sicilia. La sera sembra colorare di tristezza il cuore di Nino e della sua mamma che, come un fedele angelo custode, lo accompagna e lo accudisce.
Il viaggio dura tutta la notte, il mattino successivo alla stazione termini di Roma li aspetta un’ambulanza per il trasferimento a Ostia.
Il centro è popolato di tante persone con traumi simili a quello di Nino, nel tempo che trascorrerà qui farà amicizia con tante persone, in particolare con due giovani compagni di camera, uno della Sardegna e uno di Bolzano, quest’ultimo, dopo alcune settimane, sarebbe morto.
Nino trascorre nel Centro due anni della sua vita, migliorano le piaghe, si cerca di porre rimedio a una grave infezione dell’osso femorale, può essere posto su una carrozzina e poter, finalmente, prendere un po’ d’aria all’esterno dell’ospedale.
A due anni esatti dal suo arrivo a Ostia, il 20 Giugno del 1970, viene dimesso e si prepara a fare rientro a Modica, con un volo aereo Roma – Catania, accompagnato da un infermiere, Nino rientra nella sua Sicilia.